Processione del Cristo Morto
Ogni venerdì Santo si rinnova la tradizionale e sentita Processione nella quale viene ricostruita la Passione di Cristo. Suggestivi il canto del Miserere
Ci sono tradizioni che coinvolgono i giovani ma che esistono, senza conoscere soste, da secoli: dai nostri genitori, dai nostri nonni, dai nostri avi. Antichissimi e incantevoli riti, sui quali c’è poco di cartaceo ma esiste una buona memoria collettiva. Tra questi la Processione del Cristo Morto nel Venerdì Santo di Gubbio. Corteo religioso e sacro – in quanto rappresenta il mistero di Gesù morto sulla croce per la salvezza degli uomini – seguito con devozione dai credenti e accolto con rispetto da fedeli e semplici curiosi ai lati del “percorso”.
Processione che parte e ritorna a quel “piccolo gioiello locale” qual’è la Chiesa di Santa Croce, passando per i vicoli della città, rischiarata dai “fuochi” che vengono solitamente accesi in Piazza Bosone, a San Pietro, davanti alla porta di Sant’Agostino e davanti alla chiesetta S. Marziale.
Pregna di simboli dall’inizio ala fine. “La prima scena riporta al Calvario, dopo essa sfilano i Sacconi con saio e cappucci che recano in mano la Battistrangola (tavoletta di legno con inchiodate sulle facce due maniglie di ferro che battendo emettono una specie di richiamo delle funzioni religiose) e gli oggetti del dramma divino. Poi, viene la grande Croce di Cristo, le croci dei due ladroni, la corona di spine, flagello, mantello, chiavi, tenaglie ed infine il Sudario. La processione segue con l’ultima scena del dramma, il Cristo Morto e la Madonna Addolorata” (L’Eugubino, Pasqua ‘96).
La profonda spiritualità proviene dal canto penitenziale del “Miserere” che dà voce ai versi dispari del Salmo 50 della Bibbia, in cui Re David si pente di essersi macchiato di due colpe: adulterio e omicidio. Anche questo coro è stato tramandato per lo più oralmente e per questo nel tempo potrebbe aver subito modifiche.
Insomma, “Tutta l’ambascia, tutta la pena, tutta l’afflizione del mondo affidate alle dolenti scansioni del Miserere rilasciate a turno lungo le sofferte vie della sera. Tutto il compianto, tutto il pentimento gridati a piena voce nell’affanno accorato del battifondo. Poi le ultime note perdersi insieme all’estremo bagliore delle fiammelle nel gelido vuoto della gola montana e il lutto della notte rinserrarsi nel segreto delle pietre e dei cuori” (L’Eugubino, Pasqua 2003).