Gubbio: la città

Può ancora oggi stupire alcuni, infastidire altri, il dover prendere atto che Gubbio, come gli altri luoghi della terra, faccia parte dell’universo. È tale il suo straniamento dal mondo, ne fa un cosmo appartato e raccolto, che il suo stesso esistere suona stupefacente come una sfida assurda. Irta scommessa antietetica alle normative del tempo, Gubbio gioca indifferente coi giorni del futuro, del passato, del presente; sconnette ordini cronologici, può permettersi sempre di frantumare sistemi di giudizio già quiti, irridere periodizzamente, riaprire abissi nel mezzo di pacati luoghi comuni, sconcertare. E a dadi gioca, no a scacchi. 

Orientata a occidente, scabra di pietra, dura come il suo monte, ha suscitato nei viaggiatori che hanno tentato di salutarla reazioni di dolcezza e paura. 

 L’orgiastico suona frastuono propizia come un baccanale l’erezione dei Ceri e una sera d’inverno stretta tra i vicoli terrazzati s’involve nel silenzio metafisico. L’essenza più imprendibile degli Umbri, popolo più antico tra gli Italici, più degli Etruschi, e questo sì davvero misterioso per origine, para consistere concetrata nel denso spazio pietrificato. Risucchiato dal monte verso il cielo. Il registro interpreta il fascino di Gubbio è la verticalità. La cifra ch’essa trasmette è metafisica, per cui in essa s’inverna come naturale un prodigio altrove impossibile: la pietra allude all’ascesa. E qui l’ascendere sconfina nel trascendere: è la riproposta nei termini vitali, e perfino esistenziali, di quell’età il Medioevo, in cui il più crudo dei ralismi nasceva da un un trasmodare dell’idea in simbolo, e questo sistemarsi in allegoria. Dell’iperidealismo mediovale, che avvertiva l’eterno più vero dello spazio, Gubbio è l’incarnata metafora. E da quell’età, mai abbastanza indagata e tuttora fin troppo contraddittoria, Gubbio trae tuttora il repsiro. Può coglierlo, meglio del solito turista, il viaggiatore ansioso e curioso. Può raccoglierlo salendo le pietre e risalendo il monte, ma può avvertirne il palpito inesausto nella gente; negli Eugubini di oggi che sono poi quelli di sempre: non inquilini provvisori di un’antica eredità, ma abitanti permanenti di un’idea universale del vivere che si è solidamente consolidata in città.

Se il Medioevo è certo l’ultima, e forse l’unica, età davvero comunitaria della nostra civiltà occidentale, docunque altrove troveremmo perduta. Magari rievocata più per maniera che per nostalgia. Qui non c’è uno che senta di doverla rievocare, perchè lo spirito comunitario si fa corpo con quotidiano. Qui Francesco il Santo, e Dante, il laico redentore, non sono miti che aleggiano come in altri luoghi intrisi di presente e diligentemente deputati a riesumarli. A Gubbio sono compresenze.

Gubbio attira uomini altrove dispersi. Uomini che qui scoprono con turbamento improvviso un’umanità introvabile eppure semplicemente vera, fosse anche la propria che prima di giungere a Gubbio non sapevano di possedere.
Gubbio vive del suo segreto.

Fabio Ciceroni
Il fascino di Gubbio (1992)

La Storia della Città

Testimonianze di insediamenti abitativi localizzati nel territorio di Gubbio si hanno a partire dall’età paleolitica, per continuare poi nel neolitico e fino all’età del bronzo. Come si evince dagli scavi archeologici, in età preistorica i villaggi e i luoghi fortificati erano situati in zone piuttosto vicine all’odierno centro urbano: abbiamo infatti un abitato nella frazione di San Marco e due cittadelle sui Monti Ansciano ed Ingino, costruiti in posizione strategica a dominare la pianura antistante.

É tuttavia in età preromana, a partire dal VII sec. a.C., che Gubbio assume una grande importanza nel panorama della civiltà degli Umbri: sull’organizzazione della città-stato Ikuvium, molto ci dicono le Tavole Eugubine (III-I sec. a.C.), che descrivendo le complesse cerimonie religiose che si svolgevano all’interno della città, ci forniscono anche una gran quantità di informazioni sia sull’organizzazione sociale, con la popolazione divisa in decuvie e dotata di proprie magistrature, sia sulla conformazione urbanistica dell’antica città, che risulta spostata leggermente più a monte rispetto all’attuale centro storico, ma sempre racchiusa da una cinta muraria, sulla quale si aprivano tre porte, la Tessenaca, la Trebulana e la Vehia, quest’ultima coincidente con l’odierno Arco di San Marziale.

A partire dal IV sec. a.C., la graduale espansione di Roma porta a Gubbio una serie di trasformazioni: sebbene siano poche le fonti storiche relative a questo periodo, è opinione comune degli studiosi che tra Gubbio e Roma corressero comunque buoni rapporti. Con l’età di Silla, poi, la città fu elevata al rango di “Municupium Civium Romanorum”, ottendo un ordinamento amministrativo ricalcato su quello vigente a Roma: la romanizzazione di Gubbio è quindi, a questo punto, un fatto compiuto. Con la prima età imperiale, Iguvium conosce un florido periodo, come ci suggerisce quanto è emerso dalle campagne di scavo: il teatro, le terme e le numerose ville, decorate con splendidi mosaici, ci restituiscono l’immagine di una tranquilla e ricca città, appieno partecipe della pax romana, tanto che, decadute le esigenze difensive proprie del vecchio centro umbro, il nuovo insediamento abitativo si va ad estendere sul limitare della pianura aperta che fronteggia il Monte Ingino.

Con il progressivo dissolvimento dell’Impero romano, Gubbio conosce alterne vicende: distrutta durante la Guerra Gotica del 535-553, nel secolo successivo la città rimane coinvolta nelle contese tra Bizantini e Longobardi per il possesso dell’Italia centrale. In questo confuso periodo di transizione, i ruoli di potere precedentemente rivestiti dalle vecchie magistrature romane, vengono ad essere occupati dal clero: a partire già dal IV secolo, Gubbio può infatti vantare una cattedra vescovile, come si deduce dalla lettera (datata 416) che il pontefice Innocenzo I scrive al vescovo eugubino Decenzio, dove si parla dei predecessori (praecessores) dello stesso Decenzio.
A partire dal sec. XI, la città inizia la sua riorganizzazione interna, sia dal punto di vista urbanistico che da quello amministrativo, che condurrà Gubbio a dotarsi di proprie magistrature diventando così un libero Comune, con ampi privilegi riconosciuti sia da Federico I Barbarossa (1163) che da Enrico VI (1991): in questo processo di rinnovamento, grande fu la spinta data dal vescovo Ubaldo Baldassini († 1160), che oltre a pacificare le lotte di potere all’interno della città, presupposto per lo sviluppo successivo, propugnò una radicale riforma dei costumi del clero. Una volta assestatasi dall’interno, per Gubbio si fanno forti le mire espansionistiche verso i territori limitrofi: se da un lato la città si mette quindi in competizione (non sempre vittoriosa) con i centri circonvicini della valle umbra (es. Perugia), dall’altro riesce ad ampliare i propri domini verso le Marche e la via Flaminia. Dalla metà del XIII sec., poi, in coincidenza con il predominio guelfo, Gubbio conosce una delle sue stagioni più prospere: il vecchio centro urbano viene nuovamente ricostruito attorno ai palazzi comunali (Palazzo dei Consoli e Palazzo del Podestà), la cui costruzione inizia nel 1321, e alla monumentale piazza pensile.

Il fiorente periodo delle libertà comunali termina per Gubbio dalla seconda metà del Trecento: dopo un periodo di lotte intestine tra le maggiori famiglie cittadine, tra cui i Gabrielli, nel 1384 la città è definitivamente sottomessa al conte Antonio di Montefeltro, signore di Urbino; cessa così di fatto l’autonomia di Gubbio.

Con il dominio feltresco, si realizza per la città un periodo di relativo benessere, e di particolare sviluppo nel campo delle arti, soprattutto in coincidenza con la signoria del duca Federico, nato proprio a Gubbio nel 1422. Per suo volere, si intraprendono infatti i lavori di costruzione di Palazzo Ducale (dal 1476), edificato con l’intervento del senese Francesco di Giorgio Martini sulle rovine dei vecchi edifici comunale duecenteschi, proprio di fronte alla Cattedrale: si viene così a creare, nella parte più alta della città, una simbolica competizione tra potere religioso e potere temporale.

Nel 1508, estintasi la casata dei Montefeltro, il Ducato di Urbino passa ai Della Rovere: i Della Rovere reggeranno quindi anche le sorti di Gubbio fino al 1624, anno in cui l’ultimo duca, Francesco Maria II, in mancanza di eredi maschi, cede i suoi domini alla Chiesa. Inizia da qui, per Gubbio, un lungo periodo di lenta decadenza, interrotto solo per pochi anni tra Settecento e Ottocento, quando sull’Italia si abbatterà la tempesta napoleonica (1798-1799 e 1808-1814). Tornata poi allo Stato della Chiesa, Gubbio ne farà parte ancora fino al 1860, quando con l’Unità d’Italia sarà definitivamente annessa all’Umbria.