[riceviamo e pubblichiamo].
Un cordone ineffabile collega il mio percorso di vita al senso profondo e ultimo di essere educatore. Lo devo forse al prodotto genetico, ma certamente a quello ambientale: tale era mio padre e tali erano, quasi per necessaria conseguenza, molte delle persone che frequentava, degli affetti di cui si nutriva, attraverso cui era cresciuto e maturato. E così, grazie a loro, un po’ anch’io di riflesso.
Gubbio è stato crogiolo ancestrale, privilegiato e specifico di questa piccola, ma preziosa compagnia. Qui nacque quell’amicizia fondante, pietra angolare di un’esistenza sempre vissuta all’insegna di una perfetta sintonia di spirito e ideali, tra Lanfranco Bertolini e Gian Carlo Sollevanti. Furono gli anni dell’ultima Guerra a formare entrambi, anticipando in quel doloroso lustro la loro adolescenza, che li vide poi crescere all’insegna di una sete inesauribile per tutto ciò che era formazione e conoscenza.
Appresero così tutta la bellezza ? oggi potremmo dire anche l’urgenza ? di una simile missione. Insieme scrissero dei libri, ma soprattutto non cessarono mai di confrontarsi. Pensare, riflettere, trasmettere il proprio bagaglio di memoria: è la premessa per gettare un ponte verso il futuro, consentendo alle generazioni successive di farne tesoro. E non sto a dirvi quanto ce ne sia sempre bisogno.
In questa epoca vissuta di corsa, all’inseguimento di traguardi effimeri e dunque mai realmente appaganti, i pensieri che per anni Gian Carlo ha meditato, gli aforismi che ha fissato e le storie che ha raccolto rappresentano gocce di rugiada: rinfrescano, gratificano, ci restituiscono il senso della natura e della terra. Ma sono anche piccole briciole di pane, che possono tracciare per noi un sentiero illuminato. Quello che ci propone è un viaggio interiore, che può iniziare a dare frutti semplicemente ritrovando una disponibilità all’ascolto, dimenticando il superfluo per riportare l’attenzione su ciò che realmente importa.
È, o sarebbe, il compito della buona scuola ? quella davvero buona ? ma anche delle famiglie sane, istituzioni che traspaiono in controluce come convitati di pietra in molte delle riflessioni contenute in queste pagine. Ma anche da qui ? dal manuale di parabole e racconti sommessamente suggeriti da un saggio direttore didattico ? si può partire per abbattere muri e ricostruire un mondo migliore.
Nel raccontare queste piccole storie, Gian Carlo non riesce a nascondere una pungente nostalgia per un tempo in cui i valori erano più sinceri e profondi, i rapporti non mediati da uno schermo. Ma è con il cuore volto alla speranza che ci rammenta il senso trascendente della terra e dei suoi ritmi vitali; il problema degli anziani, una volta pilastri di saggezza del desco familiare e ora spesso relegati in ospizi per non disturbare; la drammatica ed esplosiva dinamica dei fenomeni migratori, avversata da coloro che non sanno guardare al passato né al futuro, rinnegando da un lato la nostra storia di emigranti e le cause stesse del fenomeno, ma soprattutto mostrando dall’altro totale inconsapevolezza dei futuri, inevitabili sviluppi per un Paese che invecchia senza più fare figli.
Gian Carlo conosce bene l’importanza dei giovani, delle famiglie. Con tutta la forza dei suoi saldi principi pedagogici, e quella di sua moglie Rita, ha saputo costruire un telaio ammirevole, dove tessere incessantemente per i loro figli Filippo, Roberta e Riccardo, e ora per i nipoti Chiara, Luca e Matteo, la matrice di una invidiabile dirittura morale. Ma questo non impedisce che nei suoi pensieri emerga tangibile il timore per la deriva culturale contemporanea, rappresentata ad esempio da quella riflessione sui “barbari”: ci atterriscono così tanto, perché in buona sostanza i barbari rischiamo di essere noi.
Questo piccolo pamphlet è un antidoto alla paura. Non possiamo sapere quale sarà il raccolto, ma attuare buone pratiche è indispensabile per nutrire la speranza. Ogni forma di buona educazione ? persino un semplice ringraziamento per una circostanza banale, ci ricorda Gian Carlo ? contiene in sé una virtù seminale, è dotata di una forza contagiosa e deve per questo essere diffusa, alimentata.
La meraviglia di una vita investita come educatore sta nel fatto che rifugge da ogni stagionalità: i frutti di un’azione virtuosa possono nascere anche a distanza di anni, in tempi e occasioni inattesi. Ma è importante poter seguire le pietre miliari, quelle disseminate “lungo la strada per ricordarci il percorso fatto e quello da fare”, quelle che erano “ieri pietre forti, punti di riferimento sicuro”, mentre sono “oggi piccoli elementi di plastica, fragili, insignificanti per tutti”. Gian Carlo Sollevanti è la pietra miliare per eccellenza, salda e affidabile. La sua memoria ha ancora tanto da insegnarci.

Marco Bertolini