Pubblichiamo integralmente l'articolo di oggi pubblicato dal Quotidiano il Resto del Carlino, pagine Fossombrone, Cagli e Urbania a firma di Bonita Cleri, storica dell'arte.

Una buona notizia per la storia dell' arte marchigiana: un dipinto su tavola di inizio Cinquecento, conosciuto solo attraverso fotografie in bianco e nero e scomparso negli anni Cinquanta del Novecento, è tornato in Italia dando un contributo alla ricomposizione di un tessuto culturale in parte strappato tra Otto e Novecento, anche per le vendite di opere andate a incrementare raccolte italiane e straniere. Nella collezione Ranghiasci di Gubbio era conservato il dipinto su tavola raffigurante la Madonna con Bambino e i santi Bernardino da Siena e Antonio da Padova proveniente dalla locale chiesa di san Francesco, come si apprende da un testo manoscritto redatto tra il 1810 e il 1813 che la indica in loco: esso è firmato dal pittore marchigiano Girolamo Nardini e datato al 1510.

Girolamo ha fatto parte di una dinastia di pittori iniziando a lavorare assieme ai fratelli Dionisio e Giacomo, realizzando diverse opere, l' analisi diretta del dipinto permette di confermare l'attribuzione della Pietà, datata 1512 e non firmata, presente nella chiesa di san Francesco di Sant' Angelo in Vado, suo paese natale (come da me proposto nella monografia I Nardini. Una dinastia di pittori tra Marche, Umbria e Roma edita nel 2017).
Non si conosce l' anno nel quale l' opera eugubina fu incamerata dalla raccolta Ranghiasci, certamente dopo il 1813: alla morte dell' ultimo erede fu stilato l' inventario completo dei beni della famiglia tra il 17 settembre 1877 e il 31 gennaio 1878, ad effettuare la stima dei dipinti e gli oggetti d' arte presenti nelle camere del palazzo fu chiamato Luigi Carattoli. Nel piano nobile era conservata la Galleria composta di 505 opere distribuite in dodici sale facenti parte di due appartamenti contigui messi in vendita e documentati dal catalogo d' asta redatto nel 1882: il nostro dipinto era siglato al numero 355.
Come si legge in un appunto dietro una fotografia conservata nella Fondazione Zeri antecedente il 1920 dello storico dell' arte Umberto Gnoli, si apprende che il dipinto era confluito nella raccolta Barbi avendo il marchese Adolfo sposato Matilde Ranghiasci, nel 1914 Egidio Calzini cita la tavola indicandola già conservata in casa del Barbi, affermando però che ne era ignota la collocazione. Anche se non se ne conosce l' anno si sa che venne acquistata da Leo Nardus, di origine olandese, pittore e falsario, il quale con il figlio aveva aperto due gallerie (Parigi e New York) vendendo circa cento dipinti in America spacciandoli per opere del Rinascimento. Nell' ottobre del 1936 la tavola è a Parigi in vendita dagli antiquari M. e S. Stora; occorre attendere due decenni per trovarla sul mercato presso la Galleria Charpentier battuta l' 11 giugno 1954 rimanendo però invenduta: la casa d' aste la riproponeva il 3 dicembre 1959 ed in questa occasione fu acquistata per settecentomila franchi; pochi anni dopo la Galleria falliva per cui non è stato possibile accedere al suo archivio, pertanto da allora se ne erano perdute le tracce.

La conoscenza del dipinto era documentata da due fotografie: una nella collezione Zeri dell' Università di Bologna, proveniente dall'archivio Gnoli che l' aveva pubblicata in una guida su Gubbio, l'altra nella Fondazione Longhi di Firenze tratta dal catalogo d' asta parigino.
Sarà fatto anche il restauro della pala ben conservata ma necessaria di una pulitura che le restituisca brillantezza: Federico Zeri aveva descritto Girolamo Nardini “pittore da sacrestie”, definizione forse poco generosa smorzata ora anche attraverso la conoscenza diretta di quest' opera.