Il titolo “La civetta sul comò” che Massimo Capacciola ha posto come giocoso calembour e come antiporta al suo ultimo libro, potrebbe, a prima vista, non solo incuriosire ma anche depistare l’incauto lettore, visto il patente richiamo ad una notissima filastrocca senza senso e senza tempo, ma sempre cara alla memoria e alla letteratura infantile (Ambarabà cicì e cocò, la civetta sul comò). Ma già il sottotitolo “Opinioni & Obiezioni” riporta in carreggiata anche il più spaesato dei lettori. Nell’immaginario popolare corrente, è risaputo, la civetta (volgarmente chiamata nottola) non gode certo di una buona reputazione, anche per via di quel verso asmatico e tubante, che incrina le notti non solo al chiaro di luna, ma inquieta anche il profondo sonno, dei dormienti. Questo strano rapace, che vede e caccia solo di notte, ha assunto ormai la taccia e la livrea di un infausto ambasciatore del malaugurio e della mala notte. Nel lussureggiante giardino della mitologia greca, ben altra reputazione godeva invece questo misterioso rapace dagli occhi tondi e sgranati, posti per di più, frontalmente proprio come quelli degli umani. La civetta era addirittura considerata come l’emblema iconico della dea Atena (Minerva) detta appunto ?????????? (glaukopis), termine derivato da (glauks= civetta e opé= sguardo) e cioè “Atena dallo sguardo penetrante”. Atena infatti nel consesso degli dei, era considerata per antonomasia come la dea dell’intelligenza e della sophia, nata vergine direttamente dal cervello di Zeus, il padre degli dei. La civetta, posata sulla spalla della dea, ne era precisamente l’attributo qualificativo.
Ora, come fu, come non fu, la civetta in questione, dalla spalla angusta di Minerva, è approdata sul comò di … Massimo Capacciola, dove ha perfino nidificato durante quelle horae subsecivae − come dicevano i Latini − che erano più consentanee all’otium letterario. Ma c’è di più. L’autore stesso, uscendo alla svelta fuor di metafora, si autoproclama non senza una punta di orgoglio, proprio come la… civetta di Atena:
“La mia civetta è insolente, anticonformista, è un essere contro perché vive di notte, caccia da sola e vive la solitudine come un habitat incorruttibile. La civetta non è perfetta, né vi aspira, ma la chiarezza, e la verità, che notoriamente abitano luoghi impervi”.
Il libro di Capacciola, mescolando generi letterari diversi, a seconda dell’estro e degli umori del giorno, è ricco infatti di aforismi derivanti per via autonoma, da molteplici e assidue letture. È ricco altresì di elzeviri, in genere a carattere letterario e filosofico, ma a volte tratti a forza dall’urgenza e dalle provocazioni delle cronache quotidiane e dagli inquietanti risvolti della morale e dei costumi, sempre conditi con molto “sale attico” e generosamente offerti alla pubblica lettura, secondo la dedica la dedica esemplare dettata in anteporta del libro:
“A chi la pensa come me, a chi pensa una cosa contraria e a chi non pensa niente”.
A lettura ultimata, mi è tornata alla mente la scritta incisa sulla porta cinquecentesca dell’antica Commenda dei Cavalieri di Malta di Città di Castello, da me letta in tempi ormai lontani e mai più dimenticati: Non sine quare! (Mai senza un perché). La scritta ovviamente, sta bene dove sta, ma starebbe ugualmente bene in capiti libri di Massimo Capacciola.