Ogni volta che mi trovo a leggere o, ancora più, a scrivere delle Tavole Eugubine mi torna in mente, spontaneo, l’incipit della “Genesi” ( con tutto il rispetto dovuto alla sacralità del Testo).A ciò si aggiunge l’ammirazione letteraria derivante da sinteticità e ritmo dello scritto sacro: In principio era il Verbo e il Verbo stava presso Dio! Credo fermamente al contenuto ma anche alla impossibilità di una formulazione diversa e così alta.Appunto per questo, seppure con diverso atteggiamento culturale, credo anche che Gubbio non avrebbe potuto avere eredità più nobile ed elevata del contenuto verbale delle Tavole. In un libro di molti anni addietro, vertente sulla evoluzione dell’uomo dettata dall’ambiente e intitolato “Uomo per necessità”, incentravo il passaggio da H. abilis a H. sapiens e sapiens sapiens sull’uso della “parola”, cioè sulla possibilità di comunicazione che da questa deriva.Per tutto il corso della mia −ormai lunga− esistenza ho sempre creduto che la parola sia il “bene immateriale” più prezioso fra quelli ricevuti dall’uomo e che la “parola scritta” abbia rappresentato − e rappresenti tuttora − l’unico e vero mezzo di trasmissione del sapere umano, al di là del “supporto materiale” usato. E’ il primitivo possesso di questo medium che rende Gubbio − come Rosetta per l’Oriente − unica depositaria dell’unica chiave di lettura dei linguaggi che accomunano la gens antiquissima italiae nelle memorie, scritte e sedimentate lungo i percorsi della Grande Migrazione che, dall’Oriente, ci ha condotti al di qua delle Alpi, per proseguire − da Nord verso Sud − ai due lati dell’Appennino. Lungo queste vie sono riscontrabili i sedimenti : le pietre confinarie del Padovano (Prosdocimi); le statue−stele di Pontremoli; la situla della Certosa a Bologna, illustrata dalle immagini (oggi diremmo il “fumetto”) delle celebrazioni religiose delle Tavole; le stele di Novilara (Pesaro); le Tavole a Gubbio e, ancora giù, la Tavola di Agnone e le memorie architettoniche osco−sannitiche dell’Avellinese e Beneventano.In breve…di quell’umile Italia…per cui morì la Vergine Camilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute. Le Tribù italice,poi, hanno maturato differenti “dialetti” nei diversi insediamenti e per questi, è ormai indubbio, le Tavole risultano come unica chiave di lettura possibile.Questo è stato verificato sia con i “dialetti” parlati dai Principi conquistatori (leggasi Etruschi) che con le “Grandi Famiglie” delle Fratellanze italiche (Atieidi ecc.) e stanziali degli Umbri (dal Po sino al Tevere) e degli Umbro−Sabini (dopo la introduzione della “b” − come dice Ancillotti − in luogo della “f”). Proprio il discendente da una di queste “Tribù” ( i Vestini ) consacrato come “Vate” dell’Italicità: Gabriele D’Annunzio, ha cantato così le Tavole

Agobbio,quell’artiere di Dalmazia*
che asil di Muse il bel monte di Urbino
fece, l’asprezza tua nell’Appennino
guerreggiato temprò con la sua grazia.
Or triste e spoglio il tuo Palagio spazia
Tra l’azzurro dell’aere e del lino;
ma nei tuoi bronzi arcani il tuo destino
resiste alla barbarie che ti strazia.
* l’architetto Laurana

Così D’Annunzio vaticinò il futuro di Gubbio nella era moderna: glorioso, grazie ai suoi bronzi arcani (le sue Tavole bronzee). Il risuonare di tali arcani (dal latino àrceo:contenere o, ancora, dal greco arkèo: rappresentare, il mistero e/o l’occulto) sostanzia il loro contenuto. L’arditezza dannunziana nell’uso della parola viene esaltata in questo verso che, da solo, riesce a esprimere la designazione di un destino di gloria futura, indicato e determinato non dall’inerte materia ma piuttosto dal fatto che − il “bronzo” contenitore − risuona dei suoi contenuti.Questi, incisi nella materia sono −come la “stele di Rosetta” − bene immateriale dell’intera umanità!* L’epoca alla quale si fanno risalire tali contenuti è ben più lontana di quella di redazione delle Tavole bronzee (III − I sec. a.C.) come ha insegnato, a noi e a tutto il mondo della cultura, Augusto Ancillotti
*meglio con, ma anche senza il gradimento dell’UNESCO
(Docente di Linguistica all’Un. di Perugia e Fondatore dell’IRDAU (Istituto di Ricerche e Documentazione sugli Antichi Umbri) che è, per nostra fortuna, il traduttore finale e definitivo dei contenuti delle Tavole, dopo Devoto e Prosdocimi.L’epoca, dicevamo, di una prima redazione del Testo è da collocarsi fra XV e XII secolo a.C. (A.Ancillotti,1998). Soltanto nell’VIII sec. a.C. −comunque ben prima del sorgere di Roma − l’uso dell’alfabeto era già presente fra i PaleoUmbri dell’Italia Mediana (E.Peruzzi: “Origini di Roma” ,1970) perciò, dice Ancillotti (Dalle Tavole Eugubine….in tavola, ed.GAL a cura Accademia It. Della Cucina,2001) “è ragionevole postulare, come epoca di fissazione dei testi che leggiamo, proprio l’VIII sec. a. C”. E’ ipotizzabile che tali testi, nelle prime edizioni,”fossero redatti su tele di lino, tavolette di legno o pelli conciate o su terrecotte.” La Tavola bronzea coeva è quella di Agnone (V − I sec. a.C.).. Comunque i contenuti delle Tavole sono l’unica vera fonte di notizie sulla più antica (antiquissima=la più antica, sec. Plinio) popolazione pre−romana dell’Italia centrale ( o mediana)…..e sono un testo liturgico che appartiene alla categoria….dei testi sacro−religiosi per le genti coeve (A. Ancillotti,ibid.) Che i Paleoumbri fossero insediati a Gubbio già dal XV sec. a.C. è stato definitivamente provato dai felici ritrovamenti − da parte dell’ Archeologa Dorica Manconi − di numerose urne cinerarie “biconiche” (o “biconcave”) nella parte bassa di Via dei Consoli. La numerosità di queste (c.a 70 intravedibili) certifica l’esistenza di un consistente insediamento comunitario protovillanoviano, di quegli abitanti che − gli antichi naviganti Greci − (Micenei e/o Pelasgi che fossero) chiamarono “ombrikoi” o “ombroi”, cioè : i nati lì o gli aborigeni.Coloro che nutrissero ancora dubbi sulla esistenza di tali Antenati sono pregati di recarsi al Museo Archeologico (piano basso del Palazzo dei Consoli) ove potranno ammirare una di queste “urne”, perfettamente restaurata e che funge da testimone silenzioso dell’esistenza di una terracotta eugubina, elegante e gradevolmente decorata, di circa 14 secoli prima di Cristo.Siamo però, ancora, a un contenitore stupendamente “materico”. Ma la “immaterialità”, come per la Stele di Rosetta, è lì − al semipiano superiore − incisa sulle Tavole bronzee, nelle 4365 “parole” , narranti un testo che “resta nel suo insieme estremamente più arcaico dell’epoca del suo trasferimento su bronzo. Ed è la comunità che lo compose (il testo ) nell’VIII secolo a.C. che si specchia nello stesso, non quella che lo copiò sul bronzo”, come scrive Ancillotti (ibid.).E’ un enorme valore “immateriale” quello del documento e di tutto ciò che a esso risale o, comunque, si rifà. Valga come esempio il fatto che molto della lingua parlata tutt’oggi si rifà, almeno nelle radici, a quel linguaggio scritto, sia in modo diretto che attraverso la mediazione di radici latine. Sono queste, poi, che si possono fare risalire, con facilità, alle Tavole.A sostegno di questo è bene ricordare che la prima traduzione delle Tavole, a opera di G.Devoto, venne fatta direttamente “in latino”: Tabulae Iguvinae,nel 1937.L’alfabeto delle Tavole è, in parte “etrusco” e, per la parte restante “latino” ma il contenuto verbale è completamente Umbro Italico.E’ partendo da questa lingua che è risultato possibile , grazie alla grafia delle lettere, tradurre finalmente alcuni documenti etruschi come la “Lamina di Pirgi” e la “Tavola di Cortona”. Dalla “parola” abbiamo avuto restituito l’onore, quello di un popolo che non si è fatto dominare dagli − anche se − aristocratici invasori o lo è stato per breve tempo, dopo avere acquisite le “tecnologie” e le “arti” delle quali erano innegabili portatori.Comunque gli uni e gli altri dobbiamo ad Augusto Ancillotti, nella nuova veste di Assessore alla Cultura (della quale era già ricco portatore) l’imposizione di un dovere: portare alla conoscenza diretta di ogni singolo concittadino, sino dalle prime età, l’immensa eredità “immateriale” di Gubbio: il contenuto “verbale” di tradizioni più volte millenarie.

Giuseppe Montanari (“Ombroi” per diritto; Eugubino per scelta)