Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo dell'architetto eugubino Marco Petrini.

Sul nuovo progetto per il riuso della Loggia dei Tiratori sento la necessità, come cittadino e come architetto, di dare un contributo al dibattito.
Le politiche di conservazione sin qui adottate, interpretando la necessità di tutela come impedimento a qualsiasi trasformazione, hanno avallato il teorema secondo cui le nuove architetture non possiedono la dignità necessaria per affiancarsi all'antico. In questo clima sterile è oggi di estremo interesse ogni tentativo di veicolare la conservazione all'interno di una nuova stagione di sviluppo dove i due aspetti, quello conservativo e quello dell'innovazione, possano orientarsi nella stessa direzione per una tutela dinamica che tenda a superare la dicotomia tra conservazione e innovazione. Occorre diffondere nella sensibilità comune, ancorata ad un concetto ottocentesco di tutela, il principio che anche la storia contemporanea possa legittimamente lasciare traccia di se con totale autonomia linguistica, pur continuando a dialogare con le preesistenze. Architetti di grande fama considerano come legittimi due momenti del restauro, quello conservativo e quello innovativo che si esplicita con “aggiunta di materia” : il restauro inteso come “conservazione pura” non esiste ed è attuabile solo in archeologia, poiché la necessità di utilizzo degli spazi impone nuovi elementi. Senza mutazione non si fa la storia!
Il restauro può essere espresso come cita Croce “sopra” un'altra opera d'arte, ma da questa distinta, non corrosiva della sua integrità e idealmente sostituibile con un' eventuale, più soddisfacente futura ipotesi . Affiancare al momento conservativo quello innovativo è l'unica possibilità di ricucire lo strappo nella memoria tra passato e presente. Non priviamoci oggi con atteggiamenti eccessivamente romantici di una simile facoltà!
Si comprende quindi come la mia posizione rispetto al progetto presentato sia in linea di massima favorevole, certo ogni architetto ha un approccio diverso ed io avrei cercato di mantenere una sensazione di vuoto e distacco tra la nuova struttura e le murature originali, con maggiore autonomia tra il nuovo innesto e la Loggia. Ma ogni progetto è figlio di un “padre architetto” e di una “madre committenza” ed è quindi sintesi tra due istanze e condizionato da numerose problematiche tecniche . Non credo poi che un intervento di questo tipo possa essere giudicato sulla base dell'invisibilità raggiunta : l'invisibilità è una chimera, ogni aggiunta avrà una sua valenza estetica. L'immagine finale muterà ma resta invece fondamentale la tutela della permanenza materiale, unico elemento costituente l'autenticità del costruito.
La conservazione non può essere perseguita con l'immobilismo. Valuto infatti con apprensione il tono di alcuni comunicati di Italia Nostra che reputa “del tutto superflue due piazze vicinissime”. Tale posizioni sono incomprensibili, chi le scrive dimostra di aver capito poco l'evoluzione del concetto di tutela e nulla dell'attuale stato delle cose . L'accesso diretto a Piazza S. Giovanni consentirà finalmente una corretta percezione del progetto di Gae Aulenti altrimenti poco leggibile, quasi incompleto.
Le attuali Logge sono una sopraelevazione iniziata nel 1603 realizzata “sopra” l'Ospedale di Santa Maria del 1326 e la loro realizzazione costituiva una sostanziale trasformazione dalla Platea Mercatalis, coprendo la vista delle emergenze architettoniche della città. Se all'epoca fossero prevalse le perplessità e le istanze contrarie oggi non avremmo le Logge.
Attualmente lo spazio della loggia è un “non luogo” e l'idea di prevederne una fruizione pubblica è legittima e va perseguita non alterando materialmente le preesistenze originali con un intervento reversibile che possa nel futuro, di fronte a mutate esigenze o ad un mutato clima culturale, essere rimosso o modificato e l'intervento proposto ha queste caratteristiche.
Per un architetto progettare in ambienti storici è attività affascinante e complessa: sempre sospeso, in equilibrio precario, sul filo teso tra passato e futuro, come l' “Angelus Novus” di Walter Benjamin “va verso il futuro con lo sguardo rivolto all'indietro”. Arch.Marco Petrini